“Il problema non è diventare grandi. Il problema è dimenticare.”
Capita talvolta, in un tardo pomeriggio d’inverno, di entrare in un cinema per vedere il film tratto dal tuo libro preferito, quello che a dieci anni ti ha conquistato e non ha mai smesso di farlo. La spartizione dei posti è parecchio democratica: la sala si suddivide equamente in adulti e bambini. Capita poi, durante la proiezione, che mentre i piccoli sgranocchiano placidamente i pop corn i grandi frughino disperatamente nelle tasche alla ricerca di qualcosa per asciugarsi le lacrime.
A film terminato gli occhi lucidi saranno quelli degli adulti.
Il Piccolo Principe, nella trasposizione cinematografica, di Mark Osborne, commuove e non delude.
Le vicende narrate nel celeberrimo romanzo di Antoine de Saint- Exupéry sono note a tutti. L’elemento di novità è la trama parallela che si snoda accanto a quella ben conosciuta e qui lo confesso, inizialmente sono rimasta perplessa, poiché man mano che il tempo passava mi sono resa conto che la storia del bimbo dai capelli color oro era più uno sfondo di accompagnamento che la trama principale, come invece mi sarei aspettata.
Una bimba, il cui nome non è mai menzionato, si ritrova ad avere l’estate completamente pianificata, minuto per minuto, da una madre in carriera, al solo scopo di poter entrare in una prestigiosa scuola che la preparerà a diventare “una meravigliosa adulta”. Ma nel nuovo quartiere in cui vanno ad abitare il programma verrà sconvolto da un anziano vicino alquanto bizzarro, che tiene un vecchio aeroplano nel proprio giardino e raccoglie in casa ogni tipologia di cianfrusaglia. Man mano che i giorni passeranno la piccola imparerà a scoprire un nuovo modo di approcciarsi al mondo, fatto non di regole ferree e di programmi, ma di semplice osservazione, di sperimentazione, di sano divertimento e di pagine manoscritte che raccontano la storia del Piccolo Principe. Ma, come avvenne tra la volpe ed il Piccolo Principe, anche tra la bimba e l’anziano – che si rivelerà essere… no, spoiler! – viene il momento dell’allontanamento. Doloroso, commovente, che però riserva un piacevole colpo di scena nel secondo tempo.
Più che nell’opera originale dell’autore, il film è una non troppo velata critica nei confronti del mondo adulto, che tende a pianificare ogni cosa, a sovraccaricare i bambini di impegni senza dar loro il tempo di poter vivere i momenti dell’infanzia, ma che soprattutto tende a appiattire tutto il quotidiano nella distinzione essenziale/non essenziale. Gli adulti sono tutti vestiti di grigio, monoespressivi, privi di qualsiasi desiderio di interazione con gli altri e dediti solamente al lavoro produttivo. A tratti mi è sembrato di cogliere richiami evidenti al film di animazione Momo alla conquista del tempo.
È una critica che mi sono trovata a condividere in pieno, anche se posta con toni e caratterizzazioni iperboliche, eppure molte sono le occasioni in cui mi capita di osservare alcuni miei alunni che si trovano ad avere interi pomeriggi completamente pianificati in impegni diversi in cui spesso c’è poco spazio per l’improvvisazione del gioco infantile.
Nel film – e nella vita reale? Fatevela questa domanda – la soluzione è imparare la lezione che la volpe dà al Piccolo Principe: imparare a vedere con il cuore, perché l’essenziale è invisibile agli occhi. Non è un invito a rinunciare a diventare grandi – l’anziano infatti sarà contrario al desiderio della bambina di rimanere tale per sempre – ma è una richiesta accorata: mai dimenticare di essere stati bambini, mai scordare la meraviglia con cui il fanciullo osserva il mondo che lo circonda. La serietà si può trovare anche nelle piccole cose, non è necessario tramutarsi in automi per diventare seri e credibili. E mai fermarsi alle apparenze: la bizzarria dell’anziano ha rivelato alla piccola ed alla madre un meraviglioso mondo; ciò che è diverso, sconosciuto, spesso spaventa inizialmente, ma è solo con l’addomesticamento che è possibile una vera crescita non tanto fisica quanto piuttosto interiore.
C’è la filosofia più pura in questa duplice narrazione, della bambina e del Piccolo Principe. Forse è anche per questo che mi arrabbio non poco quando sento affermare che questo romanzo è un’opera per bambini, mentre in realtà abbraccia ogni attimo della crescita di una persona. È una storia che cresce con te e nel passaggio dall’infanzia all’età adulta sa rivelarti sempre qualcosa di inaspettato, come se dietro l’angolo del paragrafo ci fosse sempre un nuovo punto di vista in agguato che cambia con il tuo maturare.
Le perplessità citate all’inizio ammetto che sono rimaste, ma decisamente più attenuate una volta metabolizzato bene il film. Ci sono parti del romanzo che avrei preferito vedere maggiormente approfondite – perché il Piccolo Principe si allontana dalla rosa? Perché è così importante addomesticare e lasciarsi addomesticare? – ed una decina di minuti in più per esse non mi sarebbero dispiaciute per nulla. Ma il lato positivo c’è: una volta tornata a casa ho ripreso il mano il libro e l’ho riletto più che volentieri, lasciando che la storia mi trasportasse dove era necessario.
Una piccola nota finale extra-film: questa mattina in classe, per aiutarmi a concretizzare alcune tematiche, ho portato il libro del Piccolo Principe. Molti dei miei alunni mi hanno così raccontato di essere andati al cinema e di aver provato così tanta curiosità per la storia da essere andati quasi subito a comprare il libro insieme ai loro genitori. Dentro di me ho fatto loro un augurio, che è anche un po’ la mia filosofia di vita, il medesimo che fece Saint- Exupéry ai suoi lettori: mai dimenticarsi di essere stati bambini.
Una recensione davvero sentita e toccante, che ci ricorda quanto è importante crescere senza dimenticare la nostra parte bambina, che è vitale per continuare a sognare.
Grazie.
Sono veramente felice che sia piaciuta.